La fiducia tra scommessa e tradimento

Articolo di Redazione: a cura di Dafne Fossa

Chi di noi è cresciuto a pane e film Disney non può certamente dimenticare la scena in cui Aladdin, sul tappeto volante, tende la mano a Jasmine e con quel “ti fidi di me?” apre le porte a una delle storie d’amore più belle nell’immaginario di grandi e piccini. Parole semplici, infilate in una cornice romantica e con la giusta canzone in sottofondo, sembrano alleggerire il carico che la fiducia in realtà porta con sé, un peso che per alcuni diviene zavorra nel momento in cui ci si scopre incapaci di realizzare quella promessa che si stipula quando ci si siede accanto a qualcuno e si inizia a con-dividere parte del proprio percorso. Come mostra la particella con, nel momento in cui si esce dal proprio universo e, a piedi scalzi o muniti della migliore armatura si procede, si diviene consci che ogni atto, movimento e scelta produce un incontro con qualcuno a cui scegliamo di mostrare il fianco.

D’altra parte, il fatto che il francese e lo spagnolo traducano il termine fiducia con confiance e confianza induce ancora una volta a porre attenzione su quanto valga agire con, piuttosto che per, in un’ottica di mera finalità. La fiducia in questo caso diventa la merce di scambio con la quale misurare il peso di ciascun incontro, consapevoli di quanto possa costare conoscere il volto che ha la parola disattendere. Dalla radice indoeuropea *bheidh– si produce in greco il termine πείθομαι (peitomai: convincere, persuadere) che, con una diatesi né attiva né passiva ma media, contribuisce a sottolineare come la convinzione sia un atto di mediazione e di coinvolgimento bilaterale, che ingaggia in egual maniera anche chi pensa di essere unicamente uno spettatore della scelta altrui. Dalla stessa radice in latino l’evoluzione comporta la nascita del lemma fides, che letteralmente significa “riconoscimento dell’affidabilità dell’altro”. In questi termini la fiducia, diversamente da quanto accade con la parola fede, richiede sforzo, dedizione e infine una scommessa, un salto nel vuoto che ci costringe a far i conti con ciò che non possiamo orientare solo in base al personale desiderio. È dunque il controllo che si vende in cambio della vertigine che provoca il rimanere sospesi tra l’Io e il Tu, alzando le mani, disposte a toccare chi abbiamo accanto per verificare che rimanga, e imparando a un po’ a volare, tutte le volte che concediamo innanzitutto a noi stessi di provare a lasciar andare, le paure e insieme la convinzione di venire prima o poi traditi.

Nel viaggio bellissimo che ci regalano le etimologie, tuttavia, la parola tradire inizialmente non aveva la valenza negativa che la storia gli ha concesso. Dal latino tradere, il verbo ha in sé la stessa radice del verbo dare preceduto dalla particella trans nella valenza di oltre. Tradire dunque identifica l’atto di dare oltre, quindi consegnare. Solo quando, nella traduzione latina della Bibbia, l’aver affidato Gesù alle guardie è stato percepito come inganno più che come consegna, il tradimento di Giuda ha riscritto l’universo di significati, associando al verbo latino trado un voltafaccia, senza alcuna traccia della valenza di trasmissione inizialmente insito nel termine.

Nel gioco a scacchi che è la vita, se in nostro potere rimangono le pedine, le mosse e le strategie, nulla è prevedibile per ciò che concerne l’avversario e se non possiamo sapere che scelta farà l’altro, per rimanerci accanto o farci scacco, l’unica certezza che esiste è che la fiducia rimane, anche quando crolla il muro di pedoni a nostra disposizione. È dunque sulla base salda della fiducia in noi stessi che si fonda la certezza che affidarsi agli altri non è mai un rischio, ma la migliore occasione per scoprire che viaggio meraviglioso sia sollevarsi su tappeti volanti, al di sopra dei palazzi arabi di Agrabah o oltre le proprie paure.

Dafne Fossa

Foto di FelixMittermeier da Pixabay

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