Articolo di redazione: a cura di Dafne Fossa
Nella cesta delle parole affittate, di quelle spese e poi cautamente riposte al proprio posto, spicca fra tutte un vocabolo sgualcito, di quelli che si usano quando si puntano i piedi nel presente e ci si volta a guardare indietro, allungando lo sguardo sulla scia che lascia il nostro andare in avanti. Quante volte ci si è resi conto di provare nostalgia per il passato, per l’infanzia sfumata, per l’adolescenza posta sul ripiano del non più? Nostalgia: dal greco νόστος (nostos), ritorno, e άλγος (algos), dolore. Quello stesso dolore che si è provato cadendo dalla bicicletta, a cui erano state tolte le rotelle, e quello stesso ritorno, ogni anno a fine agosto, dal luogo in cui si è trascorso il Ferragosto in compagnia degli amici dell’estate. È questa infondo la nostalgia, la tensione che si crea tra il proprio corpo e il cuore, lasciato in un posto che dice di noi più di quanto potremmo pensare, nel momento in cui rimaniamo avvinghiati ai profumi del luogo, alla compagnia del momento, al benessere che scaturisce dall’essere lì e non altrove. Il primo famoso ritorno nella storia della letteratura l’ha vissuto Odisseo il quale, dopo la distruzione di Troia, impiega su per giù dieci anni per raggiungere la propria casa, per far ritorno a Itaca e così dar sollievo al proprio cuore, gravato dalla lontananza e dalla mancanza che pesa un macigno tutte le volte che diamo forma alle nostre nostalgie. Negli anni trascorsi per mare o in terre straniere ha saputo dar forma alle paure rese deste di fronte Scilla e Cariddi, ha conosciuto il volto esclusivo dell’amore egoista di Calipso che lega l’eroe senza lasciargli la scelta della reciprocità. Sempre devi avere in mente Itaca, recita la famosa poesia di Konstantinos Kavafis:
Soprattutto, non affrettare il viaggio; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo sulla strada: che cos’altro ti aspetti? E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare.
Se dunque Itaca è la meta, il cardine di una nostalgia che mette in moto Odisseo con la testa e il cuore proteso al ritorno, i viaggi, nostoi, sono la declinazione che assume il dolore quando dismette i panni di sofferenza e indossa quelli dell’esperienza. Lungi dal costituire tappe forzate di una peregrinazione ritardata dagli dèi, l’attracco alla terra dei Lestrigoni o Ciclopi diventa l’opportunità di toccare con mano coralli, ebano e ambre, l’altro volto che assume l’ignoto quando decide di essere semplicemente, splendidamente diverso. E così in un’avventura che richiede il prezzo della rinuncia in cambio di quello della scoperta, Odisseo diventa tutti noi quando vogliamo ritornare a essere felici e nel farlo ci imbattiamo in esperienze che ci tolgono il fiato e aggiungono rughe, in genere all’in giù, nello sforzo di rimanere saldi di fronte l’ombra di ciò che non prevediamo.
In Ciclopi e Lestrigoni, no certo, nè nell’irato Nettuno incapperai se non li porti dentro se l’anima non te li mette contro.
Così ogni mostro cessa di essere tale solo quando la nostra anima dismette la paura e ridimensiona ciò che ancora non sappiamo maneggiare. Perché, a pensarci bene, i veri mostri sulla strada sono tutte le insicurezze a cui facciamo la guerra e le incognite di cui ci sfugge il reale valore, messi in ordine, uno dopo l’altro, su un sentiero che giunge giù infondo dove si intravede la meta, che ha la forma di una nostalgia e la sostanza di un momento di felicità.
Dafne Fossa
Foto di Youssef Jheir da Pixabay